Possa io essere libero da ostilità
Possa io essere libero dalla sofferenza della mente
Possa io essere libero dalla sofferenza del corpo
Possa io avere cura di me stesso e vivere serenamente
Questi sono esempi di prime formule della meditazione di Metta, o di Amorevole Gentilezza, che sempre più si dimostra efficace nel counseling e persino nel contesto terapeutico di patologie complesse (vedi qui). In questa pratica, inizialmente le formule sono indirizzate a qualcuno che ci è caro, verso il quale proviamo un affetto e una sollecitudine incondizionati. Poi, quando l’intenzione di cura sorge, stiamo con la sua forza e la dirigiamo verso noi stessi. Le successive formule, semplicemente, si ripetono dirigendo il flusso d’amore verso gli altri, in un gesto sempre più allargato, fino a contenere l’intero universo.
Lo sappiamo: queste formule sono misteriosamente efficaci, per noi stessi e per coloro con i quali le condividiamo. Ma perché sono così potenti?
A guardarle da vicino, sembrano vere e proprie suggestioni dirette, di tipo permissivo. Dove la ripetizione, e ancora la ripetizione, produce gradualmente, o anche all’improvviso, dopo un periodo di tempo, un effetto.
Le formule non dicono “che io sia libero, che io abbia cura ecc.” ma piuttosto “che io possa essere libero ecc.” Non sono all’imperativo ma al modo ottativo: il modo del desiderio e della potenzialità. E’ l’invito a qualcuno, che non è l’io cosciente ma piuttosto un sé più profondo e nascosto, a dare il permesso che succeda qualcosa: che si aprano le chiuse al fluire dell’amore, un flusso bloccato, ostruito, deviato dagli innumerevoli relitti depositati, negli anni, lungo il corso del nostro fiume. Dighe, scorie concrete e spesso dimenticate, fatte di paura e di dolore.
Non mi è ancora chiaro se questa pratica sciolga i rottami che ostruiscono (come suggerisce Buddhagosa nel Visuddhimagga) o se piuttosto apra un canale di flusso diverso da quello abituale, condizionato dal pensiero e da una memoria selettiva. Ma sembra essere una procedura, prima ancora che una pratica, che riflette le più semplici regole dell’auto ipnosi: esprimersi nel silenzio della mente e con convinzione, usare il tempo presente, suggerire un’azione possibile, ripetere. E infine formulare un contenuto esplicito, e non implicito come nel caso dei mantra, che lasciano parlare il suono.
E’ una pratica che stabilisce un contatto diretto con l’energia che sta alla radice di tutti gli esseri, come un’acqua pura sta in un pozzo profondo.
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