Fin dal momento in cui entriamo nel mondo, e poi da bambini, adolescenti, adulti, attraverso tutte le nostre vite e identità e ruoli sociali siamo sempre, tutti i giorni, confrontati dall’amore: dalla sua ricerca, richiesta, mancanza, conquista, dal dubbio sulla sua natura forse vera, forse illusoria, superficiale o profonda. Dalle molteplici forme sotto le quali si traveste, dalla gioia e dal dolore, dal desiderio e dalla delusione con cui spesso si accompagna. Distratti dai nostri affanni quotidiani, spesso ci dimentichiamo che l’amore, alla fine, è ciò che ispira ogni momento del nostro tempo.
Ma quale è la vera natura di questo mare in cui tutti nuotiamo, di questo calore che ci cuoce tutti insieme, come in un grande pentolone? Il pensiero antico indiano, sull’amore, riflette in modo analitico fin dai tempi delle Upanishad, quando di questa forza che ci guida vengono a delinearsi forme specifiche come la gentilezza, la compassione e la gioia condivisa: tre modi di sentire l’altro che si sviluppano quanto più il singolo individuo sa di essere solo parte, espressione fenomenica di un’unica Anima universale.
Il Buddha riprende queste modalità dell’amore e ne fa degli stati mentali indipendenti da qualsiasi essere superiore, radicati nella profondità della stessa natura umana. A questi primi tre stati ne aggiunge un quarto: ovvero un’ assoluta imparzialità, una mancanza di centratura nel proprio sé, che permette di comprendere in questo slancio amoroso l’universo intero, senza discriminazioni , e che rende tutti e quattro gli stati “divini” o “incommensurabili”. Senza confini.
Ecco come Nyanaponika Thera descrive questa forza:
“Amore, che abbraccia tutti gli esseri, sapendo bene che siamo tutti compagni di viaggio in questo ciclo di esistenza, che siamo tutti sopraffatti dalla stessa legge del dolore.
Amore, ma non il fuoco sensuale che brucia, strappa e tortura, che infligge più ferite di quante ne curi, un momento brillando e il momento dopo spegnendosi, lasciando più freddo e solitudine di prima.
Piuttosto, amore che si appoggia come una mano dolce e ferma sugli esseri che soffrono, immutabile nella sua simpatia, senza vacillare, non disturbato da qualsiasi risposta incontri. Amore che è fresco sollievo per coloro che bruciano nel fuoco della sofferenza e della passione; che è calore e vita per chi si trova abbandonato in un freddo deserto di solitudine, per coloro che tremano nel gelo di un mondo senza amore; per coloro il cui cuore è diventato come vuoto e arido dopo le tante e inascoltate richieste di aiuto, lanciate nella disperazione più profonda.” (1)
Sembra, questo stato, assai lontano dall’amore a cui siamo abituati: quello delle relazioni intime, della passione romantica e del desiderio di avere e possedere ora, subito, quello dei tormenti emotivi nei quali ci capita di ritrovarci all’improvviso con le persone che ci sono più care. Eppure alla base profonda di questi sentimenti sta, nascosta e resa invisibile dai mille oscuramenti proiettivi del sé, dalle tante deviazioni, dalla lontananza e dalla paura, la stessa energia di amore che, raggiunta nella sua essenza pura, diventa stato divino.
L’amore umano è in continuo flusso, dipende dal tempo e dalle circostanze, sempre sorge e scompare, arriva e se ne va, cambia forma e intensità.
Ma affonda le proprie radici in un’energia limpida che a sua volta può trovare espressione proprio attraverso la nostra fragile umanità. Come osserva John Welwood nel suo breve saggio Amore, assoluto e relativo (del quale riporto qui la mia traduzione integrale) (2) “le nostre relazioni sono splendidi tessuti nei quali amore assoluto e relativo, perfetto e imperfetto, infinito e finito, si intrecciano meravigliosamente”.
(1) Tratto da Nyanaponika Thera, The Four Sublime States. Contemplations on Love, Compassion, Sympathetic Joy and Equanimity
(2) Il saggio di John Welwood, qui tradotto, è pubblicato nel sito di John Welwood, ed è stato poi incluso, in una versione diversa, in Amore perfetto, relazioni imperfette, ed. Feltrinelli.
Caro Marco, viene, questa lettura, come un evento di sincronicità perfetta, con quello che vivo ora, e che mi obbliga felicemente a fare ricorso a questi quattro incommensurabili. Per placare e rendere dolce il fuoco della passione romantica, che non porta altro che sofferenza in più.
Ora leggo il saggio di John Welwood.