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Perché fuggire, impallidire davanti ai fantasmi? Perché temerli, evitarli? Una relazione di Mindfulness Counseling permette di lasciare affiorare parti anche scure, difficili. Le quali spesso, presentandosi, si manifestano nel corpo come tensioni o fenomeni sensoriali, oppure nella mente come fantasmi paurosi. Davanti a queste presenze si può stare fermi, respirare e lasciare sorgere uno stato di gentilezza amorevole.  I risultati sono sorprendenti.
Non a caso la stessa meditazione di Metta, o di gentilezza amorevole, è sempre più adottata in diversi ambiti di counseling, non solo come pratica formale da condividere con il cliente ma anche in tutte le sue modalità diffuse. Anche se contenuta all’interno della pratica di Mindfulness, la meditazione di Metta è una pratica a sé, a volte assai più semplice per il cliente da abbracciare, forse perché più familiare o naturale. (Vedi, fra le tante testimonianze, Loving-kindness meditation and counseling e Loving Kindness Meditation: A Promising Practice for Reducing Stress and Increasing Empathy)

Del resto questa pratica nasce anticamente proprio per affrontare i fantasmi e la paura. Buddhaghosa ce lo testimonia nel suo Visuddhimagga, raccontando questa storia a lui pervenuta attraverso una trasmissione orale perfetta, che risale ai tempi del Buddha.

Dopo avere ricevuto dal Buddha istruzioni per la propria meditazione individuale, un gruppo di monaci si avviò verso le pendici dell’Himalaia alla ricerca di un posto dove passare il primo ritiro estivo. Trovarono un luogo bellissimo, scintillante come un quarzo blu, circondato da foreste maestose, percorso da un fiume cristallino. Vi si installarono e subito gli abitanti del luogo accorsero felici, costruirono capanne per i monaci e si presero cura di loro. Presto ciascuno dei monaci si scelse uno dei grandi alberi della foresta, sotto al quale meditare.
Fatto sta che gli alberi erano abitati da divinità arboree, le quali alla vista dei monaci si ritirarono rispettose dalle proprie case aeree per non disturbare la loro meditazione vivendo al di sopra di essa. Dopo qualche tempo, tuttavia, le divinità capirono che i monaci non se ne sarebbero andati tanto presto e, volendo ritornare nelle loro case, decisero di spaventarli producendo oggetti terrificanti, suoni spaventosi e un odore mefitico.
I monaci furono atterriti da questi fenomeni e in poco tempo perdettero tutta la loro concentrazione. Decisero dunque di rompere il ritiro e tornare dal Buddha per chiedere consiglio e un luogo più appropriato.
Ascoltata la loro storia, il Buddha rimase sovrappensiero, poi rispose con queste parole: “Monaci, tornate in quel luogo. E’ solo rimanendo in quel luogo che potrete dissolvere le ombre interiori. Non abbiate paura. Se volete liberarvi dall’aggressione delle divinità, imparate questo sutta: sarà per voi insieme un oggetto di meditazione e uno strumento di protezione.” E recitò loro il Karaniya Metta Sutta, l’inno all’amore universale. Possano tutti gli esseri vivere felici e in pace: qualsiasi essere.
I monaci impararono il sutta e tornarono nel luogo dal quale erano partiti. Subito le divinità, ascoltandoli recitare quelle parole, provarono una grande commozione nel cuore, al punto da assumere sembianze umane e accoglierli con grande ospitalità, invitandoli a riprendere la loro meditazione senza paura. Poi le divinità tornarono alle loro sembianze divine, rientrarono nelle loro case arboree e per tutto il tempo del ritiro protessero i monaci in ogni modo, garantendo loro un perfetto silenzio.
Alla fine del secondo ritiro, tutti i monaci raggiunsero il culmine della perfezione spirituale.

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